Pensioni, sanità, welfare e legge su non autosufficienza: la lotta prosegue anche nel 2026

ROMA – Direttivo di fine anno dello Spi Cgil a Villa Corte Peron alla presenza di Tania Scacchetti segretaria generale nazionale dello Spi Cgil, di Daniele Gazzoli, segretario generale dello Spi Cgil Lombardia, Alfred Ebner segretario dello Spi Lgr Agb di Bolzano e Michele Orezzi segretario generale della Cgil di Mantova. Si è parlato di rilancio delle iniziative dei pensionati per il 2026 con pensioni, sanità e welfare ancora al centro della lotta. Senza dimenticare la legge sulla non autosufficienza che da tempo lo Spi sta chiedendo. Nel corso della mattinata si è parlato anche di tesseramento, bilancio e iniziative per il prossimo anno.

Di seguito troverete la relazione integrale del Segretario Colleoni

“La politica è il mezzo attraverso il quale persone senza morale comandano su persone senza memoria”. (Voltaire)

È una constatazione frequente, spesso riassunta nel detto “la politica ha la memoria corta” .

Il filosofo e scrittore francese Voltaire, con la sua inconfondibile e tagliente ironia, ci ha lasciato una sentenza che è un’analisi spietata del potere.

La politica, nella sua forma peggiore, non è il regno della virtù, ma un terreno di gioco per chi non ha scrupoli.

E il loro successo dipende da una nostra debolezza:

la mancanza di memoria.

Quando dimentichiamo gli errori del passato, le promesse non mantenute e le lezioni imparate, diventiamo un popolo facile da manipolare, vulnerabile agli stessi inganni.

L’attenzione pubblica e mediatica si sposta rapidamente da un evento all’altro, spesso senza un’analisi approfondita delle conseguenze a lungo termine.

Per questo in questa relazione, di fine anno, non farò il riassunto dei tanti eventi ai quali abbiamo partecipato ma mi soffermerò su alcuni concetti  che possono farci riflettere sul futuro che abbiamo davanti.

Il primo

Pete Hegseth ( Pit hegsat ) è l’attuale Segretario alla Difesa degli Stati Uniti,

nonché “Segretario alla Guerra”, come lui stesso si definisce

la cui funzione è quella di essere il consigliere principale per gli affari militari del presidente degli Stati Uniti d’America.

E si è riferito in questo modo alla politica futura americana.

 

L’America dice «Non sarà distratta dalla costruzione di democrazia, dalla guerra infine e dai cambi di regime, metteremo prima di tutto i nostri interessi,

 

basta con l’idealismo utopico.

 

È ora del realismo duro e puro».

 

Il Segretario alla guerra americano o dottor Stranamore esprime un approccio cinico che privilegia gli interessi nazionali americani concreti (economici e strategici) rispetto agli ideali di difesa della democrazia o di interventi umanitari internazionali,

 

sottolinea un abbandono dell’idealismo a favore di un approccio che  ostenta disprezzo e indifferenza nei confronti dei valori umani, privilegiando gli affari mondiali, come emerso in contesti politici recenti come a Gaza o in Ucraina .

 

Tradotto diventa

 

Le priorità sono la sicurezza e il benessere del proprio paese, non le questioni ideologiche altrui.

 

Basta con la promozione della democrazia o l’intervento in conflitti stranieri se non servono direttamente al popolo americano e pertanto si deve agire con realismo e senza illusioni, concentrandosi su risultati concreti e tangibili a  politiche più focalizzate sui propri benefici e confini

 

In pratica, l’opposto della tradizionale linea americana del periodo successivo alla Guerra Fredda.

 

 

Trump nel documento di Nazional Security Strategy

( NA-shun-al si-KYU-ri-ti STRA-te-gi) uscito a inizio dicembre riscrive la strategia americana con un approccio “America First” e avanza implicazioni significative per gli alleati.

 

Questo documento, definisce interessi, minacce e obiettivi di sicurezza, con la versione attuale che segna un netto cambio di paradigma parla dell’Europa e contiene passaggi molto duri sul Vecchio Continente

 

“i veri problemi dell’Europa, come riporta il testo, sono più profondi, Il suo declino economico è eclissato dalla reale e stridente prospettiva di cancellazione della civiltà”

 

È il cambio di strategia trumpiana verso l’Unione europea.

 

Dal disprezzo politico alla revisione della Nato, fino all’affondo su migranti e libertà civili: nella nuova Strategia di sicurezza nazionale targata Trump c’è la rottura del legame transatlantico.

 

Un risveglio brutale.

 

È un risveglio perché più che obiettivi e scenari il documento traccia un vademecum ideologico della Casa Bianca di Donald Trump, in cui il Vecchio Continente emerge se non come un avversario, come partner subalterno guardato con ostilità.

 

Trentatré pagine che infrangono ogni residua speranza di coloro che avrebbero voluto continuare a cullarsi nell’idea di un’America mutata nella forma ma non nella sostanza e che sarebbe rimasta, nel bene e nel male, al fianco degli alleati.

 

Ed è brutale perché inchioda gli europei – nei modi e nei tempi peggiori – alla realtà in di un abbandono della loro sicurezza, compresa la difesa dell’Ucraina.

 

A nulla è servito piegarsi a un accordo che impone dazi americani al 15% sui prodotti europei rinunciando alle ritorsioni commerciali, assicurare l’acquisto di centinaia di miliardi di euro di gas naturale liquefatto o impegnarsi ad aumentare le spese per la difesa al 5% del Pil.

 

Secondo Trump, l’Europa tenta di “sovvertire i processi democratici” e rischia la “cancellazione della propria civiltà”.

 

Dichiarazioni che non lasciano spazio a dubbi circa il fatto che l’ostilità verso l’Ue è radicata e che, di conseguenza, imporrà scelte difficili.

 

Viene anche ipotizzato un cambio di fisionomia dell’Organizzazione NATO, un’accelerazione che cambia la dinamica dell’Alleanza e i suoi stessi equilibri interni.

 

.

 

Il rapporto fra Stati Uniti ed Europa è destinato a cambiare in maniera fondamentale,

 

Il documento mette al centro degli interessi di Washington

il continente americano

 

La Strategia dice che gli Stati Uniti non possono più occuparsi di tutto il resto del mondo.

 

Secondo il documento, gli Stati Uniti devono passare da un ruolo di gendarme globale a una priorità negli interessi strategici, limitando il raggio d’azione geopolitico.

 

 

Ma oggi gli affari di altri Paesi sono di loro interesse

se le loro attività minacciano direttamente i loro interessi.

 

Naturalmente gli interessi Europei sono di loro interesse.

 

L’Europa vassalla degli Stati Uniti ora non sa cosa fare.

 

La tragedia non è il disprezzo di Trump, ma l’incapacità d’azione Europea

 

Trump ha lanciato una sfida letale all’Europa: indebolirla economicamente e umiliarla politicamente.

 

Il nuovo documento di Strategia di Sicurezza Nazionale di Donald Trump non è una semplice critica all’Europa.

 

È la prova tangibile di una verità geopolitica fondamentale: quando si è vassalli di una superpotenza, in questo esempio gli Usa, quando cambia il vento a Washington deve cambiare tutto anche da noi.

 

Ma questa volta, il cambiamento non è una semplice sterzata di politica estera.

 

È un terremoto epocale, una trasformazione a 360 gradi che lascia l’Europa, abituata a ricevere ordini, nella posizione tragicomica di non sapere cosa fare quando l’ordine è: “Pensate con la vostra testa.”

 

Il disorientamento europeo, oggi palese, è la diretta conseguenza di un fallimento strategico di proporzioni storiche.

 

Il piano di Trump per sfaldare l’Europa passa anche da Roma.

 

“L’Italia è tra i governi più vicini a Washington e va allontanata dall’Ue”

 

Lo rivela la testata americana specializzata in difesa ‘Defense One’ che cita una versione classificata della National Security Strategy diffusa nei giorni scorsi.

 

Trump ha lanciato una sfida letale all’Europa: Sfaldare l’Europa con l’obiettivo di “renderla di nuovo grande”.

 

Quindi indebolirla economicamente e umiliarla politicamente, mentre le intima di diventare autonoma.

E per farlo serve l’aiuto di quei Paesi che possono fungere da leva per diffondere nazionalismo, conservatorismo e “recupero dei tradizionali stili di vita”.

 

Quali? Austria, Ungheria, Polonia e soprattutto l’Italia.

E tra i governi più vicini alle posizioni del tycoon, come quelli di Polonia, Ungheria e Austria, spunta anche l’Italia di Giorgia Meloni.

 

Si tratta, si legge, di Paesi coi quali gli Usa dovrebbero “collaborare di più con l’obiettivo di allontanarli dall’Unione europea.

 

Oltre a sostenere i partiti, i movimenti e le figure intellettuali e culturali che cercano la sovranità, la preservazione e restauro dei tradizionali stili di vita.

 

Il governo italiano rispecchia a pieno i requisiti richiesti e viene quindi percepito come un Cavallo di Troia che permetterebbe agli Stati Uniti di esercitare la propria ingerenza sull’Europa.

 

Un obiettivo che è parte di un piano più ampio di riorganizzazione di un nuovo ordine mondiale

 

L’Europa non sa come gestire questa trasformazione perché per decenni ha disimparato a pensare.

 

Ha scambiato l’obbedienza per strategia.

 

La data del 2027 fissata dal Pentagono per la nostra “autonomia” suona ora come una condanna.

Siamo come vassalli a cui il signore feudale, dopo averli impoveriti con tasse per una guerra inutile, restituisce un feudo devastato dicendo: “Ora arrangiatevi.”

 

La tragedia non è il disprezzo di Trump, ma la nostra incapacità di raccogliere la sfida.

 

Dobbiamo scegliere: continuare a essere vassalli di un impero che ci disprezza, o diventare finalmente architetti del nostro destino.

 

Il secondo punto sono

 

Le dichiarazioni di Messina amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, banca  ampiamente riconosciuta come la numero uno in Italia e attore di importanza mondiale nel settore bancario,

 

all’inaugurazione dell’anno accademico alla  Luiss (Università confindustriale) il 12 dicembre ha dichiarato:

 

L’Europa sarà debole, «se continuerà a parlare ogni giorno e unicamente di difesa, ma non di diseguaglianze e povertà».

 

E sarà debole, «se non sarà in grado di fare uno scatto nella sua governance» restando ancorata al principio dell’unanimità, quindi «incapace di prendere decisioni rapide».

 

Il tema della giornata è proprio il futuro dell’Unione europea, le sfide esistenziali che deve affrontare mentre – dice il rettore Paolo Boccardelli – tensioni geopolitiche, transizione digitale e ambientale, cambiamento demografico «ridisegnando gli equilibri su cui, per decenni, si è basata la nostra stabilità».

 

Carlo Messina spera «da europeista» che questo scatto possa avvenire, perché sulla carta l’Unione ha degli elementi di forza con pochi confronti nel resto del mondo, perfino negli Stati Uniti o in Cina, come i risparmi dei suoi cittadini.

 

Ma aggiunge anche che se lo scatto non arriverà ogni Paese dovrà valutare quali siano i propri spazi di sicurezza, le proprie forze e le proprie debolezze, per mettersi almeno nelle condizioni «di limitare i danni» in mezzo alla tempesta geo-economica.

 

Le forze dell’Italia non sono poche: le imprese, «le migliori d’Europa» e il risparmio delle famiglie, «da tripla A».

 

Ma il debito italiano, uno dei più alti al mondo, è del resto uno dei fattori di debolezza principali del nostro Paese.

 

Ma il fattore quello decisivo è la crescita anemica.

 

Proprio da questo punto di vista il capo di Intesa invita tutti, a cominciare dalle aziende, a lavorare perché i salari aumentino.

 

La crescita delle buste paga, nella visione degli imprenditori e di molti economisti, ha come precondizione un miglioramento della produttività.

 

Secondo Messina però «questo legame si deve rompere in un momento di utili elevati, perché alzare i salari è una priorità strategica sia per spingere i consumi, e quindi la crescita, che per ridurre la povertà.

 

Chiude il suo intervento con la dichiarazione che “Ci sono molte imprese che godono di buona redditività e dovrebbero porsi il problema”

 

Ma lo riapre Massimiliano Valerii direttore generale del Censis.

 

È il curatore dell’annuale Rapporto sulla situazione sociale del Paese,

 

E lo riapre con le parole “L’Italia nell’età selvaggia, del ferro e del fuoco”.

 

Con  questo titolo, volutamente apocalittico, inizia il nuovo rapporto CENSIS  sulla situazione sociale del Paese/2025

 

Età selvaggia, appunto, scrive il Censis “di predatori e prede”, di totale sfiducia nella politica e di seduzione invece verso le autocrazie, guardate con favore (ed è preoccupante) “dal 30% degli italiani” che le ritengono “più adatte allo spirito dei tempi”.

 

Il grande debito inaugura il secolo delle società post-welfare.

 

L’Italia spende più per interessi (85,6 miliardi) che per investimenti (78,3 miliardi) e superano dieci volte le risorse destinate alla protezione dell’ambiente (7,8 miliardi).

 

Sul fronte politico il 62% degli italiani ritiene che l’Unione europea non abbia un ruolo decisivo nelle partite globali.

 

il 55% è convinto che la spinta del progresso in Occidente si sia esaurita e adesso appartenga a Cina e India.

 

Il 39% ritiene che le controversie tra le grandi potenze si risolvano ormai mediante i conflitti armati.

 

E il 30% condivide una convinzione inaudita: le autocrazie sono più adatte allo spirito dei tempi.

 

Il 66% ritiene che, se per riarmarsi l’Italia fosse obbligata a tagliare la spesa sociale, allora dovremmo rinunciare a rafforzare la difesa.

 

Alle ultime elezioni politiche del 2022 gli astenuti hanno raggiunto la quota record del 36,1% degli aventi diritto, 9 punti percentuali in più rispetto alle precedenti elezioni del 2018.

 

E le mobilitazioni di piazza raccolgono sempre meno adesioni: nel 2003 il 6,8% degli italiani aveva partecipato a cortei, vent’anni dopo il 3,3%.

 

Secondo il 72% degli italiani la gente non crede più ai partiti, ai leader politici e al Parlamento.

 

Il 63% è convinto che si sia spento ogni sogno collettivo in cui riconoscersi

 

L’Italia continua a invecchiare rapidamente.

 

Le persone dai 65 anni in su rappresentano il 24,7% della popolazione (14,6 milioni di persone): erano il 18,1% nel 2000 (10,3 milioni) e il 9,3% nel 1960 (4,6 milioni).

L’aspettativa di vita è arrivata a 85,5 anni per le donne e 81,4 per gli uomini: circa 5 mesi in più solo nell’ultimo anno.

 

Negli ultimi vent’anni (2004-2024) la spesa per la cultura delle famiglie italiane si è drasticamente ridotta (-34,6%).

 

La felicità non è in Italia”. Un giovane su tre sogna di andarsene all’estero e il bilancio dice che in questo periodo 486mila under italiani sono espatriati verso i principali Paesi europei

 

Una sintesi di concetti che richiedono forti momenti di approfondimento.

 

Stiamo diventando una Società Post-Welfare:

 

L’Italia affronta le sfide del debito e della transizione, con una crescente fragilità del welfare e timori sulla non autosufficienza.

L’invecchiamento accelera, rendendo gli anziani una risorsa ma anche un focus per i servizi sociali.

 

Massimiliano Valerii, direttore generale del CENSIS, nel riflettere  sul Rapporto 2025 che funziona da termometro dello stato di salute del Paese.

 

Ha dichiarato, in un intervista, che  l’Italia di oggi non sta affatto bene, al netto della propaganda governativa e del tentativo dei mass media di nascondere le notizie.

 

Siamo di fronte  all’indifferenza e al pressappochismo di troppi opinionisti e commentatori che trasformano in verità ufficiali un Italia ritratta sempre come una nazione in fermento, nella quale cresce l’occupazione e si vive in una sorta di Regno del Bengodi.

 

Non è così. Afferma Massimiliano Valerii

 

L’Italia sta male, profondamente male, con una propensione al non voto che non può non allarmarci, una passione dilagante per l’autoritarismo, una sfiducia, anch’essa crescente, nei confronti della democrazia e una sensazione diffusa, specie fra i più giovani, che il futuro sarà assai peggiore del presente, per non parlare del confronto impietoso con il contesto nel quale sono vissuti genitori e nonni.

 

Era un’Italia magari più povera di quella attuale, d’accordo ricorda Valerii, ma c’era la speranza di cambiare, di migliorare, di diventare grandi insieme.

 

Ormai tutto questo non esiste più, i salari degli under 50 sono miseri e insufficienti per metter su famiglia e vivere dignitosamente.

 

L’unico welfare che ancora funziona è quello familiare e la fuga dei cervelli sta diventando un dato strutturale.

 

E naturalmente punto terzo ed ultimo

 

È finito atreius e abbiamo ascoltato le parole della meloni ai problemi del paese, ancora una volta in stile progaganda elettorale

 

E naturalmente sorridiamo amaramente ascoltando quella registrazione che apre la conferenza stampa convocata pochi giorni fa sulla manovra.

 

Prova provata dell’ennesima bugia propinata agli italiani.

E infatti: «Sulle pensioni si consuma il più alto tradimento delle promesse elettorali del governo”

 

«L’aumento dell’età» non cade infatti «con il ritiro del maxi-emendamento» presentato da un «Giorgetti sfiduciato»:

 

scatterà comunque «per il 96% dei lavoratori, comprese le forze dell’ordine», essendo prevista nel testo della finanziaria che si approverà entro fine anno.

 

«Meloni diceva che non era possibile aumentare l’età pensionabile senza metterci la faccia, ora non dice una parola»

 

«Un colpo di mano gravissimo perché non si scherza sui sacrifici di una vita di chi ha lavorato»,

 

È finita Atreju ma il Paese reale è ancora lì con i suoi problemi

 

«Ci hanno provato fino alla fine. Ma dopo aver peggiorato la Fornero e cancellato Opzione donna, il governo si è dovuto rimangiare alcune delle vergognose norme con cui uccideva di fatto il riscatto della laurea e allungava pure i tempi per ricevere l’assegno»,

 

«Ennesimo circo di una manovra evanescente, senza un piano industriale, un piano sanitario, un progetto sociale.

 

Niente di niente»,

 

L’unica cosa che procede spedita è la corsa al riarmo».

 

La CGIL ha espresso una ferma e severa condanna nei confronti della Legge di Bilancio 2025  del Governo meloni, ravvisandovi un drastico ridimensionamento della spesa sociale.

 

La critica si appunta, nello specifico, sulle contrazioni dei finanziamenti destinati a sanità, istruzione e politiche per la non autosufficienza.

 

Inoltre, l’assenza di misure volte al ripristino del potere d’acquisto dei redditi — ormai erosi dal rincaro dei beni di prima necessità — nonché l’adozione di politiche fiscali che gravano impropriamente su lavoratori e pensionati.

 

Ed ancora più grave in questa, come nelle precedenti leggi di bilancio del governo Meloni sono una mancanza di investimenti per la crescita  e nessuna strategia per lo sviluppo del Paese.

 

Tali criticità  sono culminate  nella giornata di mobilitazione dei pensionati Mantovani  dello scorso 20 novembre contro  la finanziaria.

 

Una giornata piovosa e gelida, ma il rosso dei 12 gazebo delle nostre leghe e un centinaio di compagni, hanno colorato Mantova e volantinato la città  e poi si sono diretti per il formale incontro con il Prefetto che ha ricevuto  le nostre istanze e si è impegnato a trasmetterle alle istituzioni.

 

 

 

La successiva proclamazione dello sciopero generale del 12 dicembre ha visto oltre duemila cittadini tra lavoratori, pensionati e studenti che hanno animato Mantova con una bella e gioiosa manifestazione conclusa dal segretario generale Michele Orezzi ribadendo quanto questa “Finanziaria sia  ingiusta” e dal profondo intervento di Gabriella Zucchelli, la quale ha offerto una lucida disamina delle problematiche inerenti alla condizione degli anziani.

 

Piazze piene, ma anche molti parcheggi delle fabbriche pieni.

 

Sulla nostra capacità di iniziativa dobbiamo fare una analisi vera e capire che esperienze abbiamo costruito in questi anni.

 

In particolare riguardo all’importanza di mantenere una radicalità nelle nostre rivendicazioni e nella nostra capacità di mobilitazione verso un governo che fa scelte “inique e inadeguate” per i lavoratori e i pensionati, oltre ad affermare una deriva autoritaria e una sistematica riduzione degli spazi di democrazia e dissenso.

 

Anche se dobbiamo fare i conti con una distanza sempre più grande fra le persone e la rappresentanza, sia nelle forme politiche che nelle forme sindacali.

 

Questo non significa necessariamente rappresentare la stragrande maggioranza, ma avere la forza di imporre il punto di vista del lavoro e dei pensionati nella costruzione sociale, determinando cambiamenti sostanziali nelle scelte politiche.

 

Il nostro obiettivo è far sì che le forze sociali abbiano un ruolo attivo nella trasformazione della società.

 

È proprio per questa nostra attitudine che siamo riconosciuti e riconoscibili, svolgendo una funzione fondamentale in un contesto segnato da rapporti di forza profondamente squilibrati.

 

Mi riferisco soprattutto al disequilibrio tra capitale e lavoro, dove il capitale sembra oggi aver perso l’ambizione di confrontarsi con il lavoro sui temi sociali, della tutela e del progresso.

 

In questo squilibrio, il Governo Meloni agisce come “facilitatore” del capitale anziché come arbitro o garante dei diritti.

 

Siamo di fronte ad un nuovo paradigma di cambiamento sociale, in cui il capitale ha smesso di essere un interlocutore per la crescita collettiva per diventare un fattore di mera estrazione di valore.

 

Dobbiamo quindi interrogarci su quali strategie e alleanze mettere in campo per ricostruire un’egemonia culturale.

 

Questo non significa necessariamente rappresentare la stragrande maggioranza, ma avere la forza di imporre il punto di vista del lavoro e dei pensionati nella costruzione sociale, determinando cambiamenti sostanziali nelle scelte politiche.

 

 

Sappiamo tutti che la questione salariale, l’emergenza sociale e la precarietà sono i grandi temi del nostro tempo.

 

Tuttavia, il punto è come queste condizioni materiali entrino concretamente nell’agenda di mobilitazione e siano percepite dalle persone.

 

Spesso facciamo un lavoro straordinario, ma dobbiamo chiederci quanto questo venga realmente riconosciuto dalle persone che rappresentiamo.

 

Il rapporto di fiducia si ricostruisce rendendo le persone partecipi del messaggio e del percorso.

 

Poiché siamo consapevoli che non otterremo risultati trasformativi immediati nel breve periodo, dobbiamo accompagnare le persone in questo tragitto.

 

Se la nostra funzione di resistenza è riconosciuta, l’assenza di un risultato immediato diventa meno frustrante e ci permette di valorizzare anche i successi parziali.

 

Non dobbiamo inoltre sottovalutare il fatto che il governo di centrodestra utilizzi spesso il nostro linguaggio e le nostre rivendicazioni per promuovere le proprie politiche.

 

 

Dobbiamo uscire dalla logica per cui le mobilitazioni appaiono solo come iniziative del “fronte” della CGIL.

 

Questo dipende anche dalle scelte delle altre organizzazioni confederali che, pur avendo sensibilità e impostazioni diverse, restano soggetti con cui dobbiamo interloquire costantemente.

 

È necessario costruire un quadro di alleanze strategiche, verso le parti sociali, le istituzioni, la politica.

 

Confrontarsi anche fuori di noi e raccogliere tutti i contribuiti

 

Un anno di lotte si sta concludendo,

 

Buone feste a voi e alle famiglie

 

Riposiamoci e trascorriamo del tempo con i nostri cari

 

Perché

 

Un 2026 di lotte ci aspetta.

 

 

Buone feste

 

 

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