Colleoni: “Democrazie in crisi, usiamo referendum come banco di prova per iniziare a cambiare le cose”

Abbiamo alle spalle un anno nel quale, almeno in teoria, la democrazia ha raggiunto il suo massimo sviluppo.

 

Nel 2024 sono stati infatti chiamati alle urne elettori appartenenti a paesi che, in totale, raggiungono i quattro miliardi di abitanti: in sostanza la metà del genere umano.

 

Se però esaminiamo a fondo questo fenomeno così esteso, ci troviamo di fronte a situazioni che, anziché offrirci un conforto sullo stato della democrazia nel mondo, non fanno che aumentare i punti interrogativi sulla sua salute.

 

Secondo l’ultima edizione dell’Economist Democracy Index, il tasso di democratizzazione nel globo terrestre continua a scendere, un trend ormai negativo negli ultimi anni.

 

Al contrario crescono i Paesi catalogati come autoritari.

 

L’Italia non compare fra le prime dieci in classifica, come paese democratico, poiché è collocata al trentaquattresimo posto sui 160 considerati.

 

Quindi fare il punto sullo stato di salute della democrazia è un obiettivo sfidante e complesso.

 

La democrazia e le sue forme come i partiti politici, i governi e le istituzioni sono in crisi.

 

Questa diagnosi sembra essere condivisa da tutti i politologi e politici, opinionisti pubblici e dei media, studiosi dei mutamenti dei movimenti sociali, da sociologi ed economisti.

 

Ciò che abbiamo non funziona più, o assai poco; tuttavia, non sappiamo con cosa sostituirlo.

 

Il rischio è quello di essere eccessivamente pessimisti e se nel complesso sono ancora molte le sfide da affrontare, diventa paradossale che le democrazie mature sono vittime del proprio successo.

 

Si sono trovate di fronte alla difficoltà di dover gestire a livello nazionale problemi che in realtà hanno origini globali, ad un eccesso di aspettative da parte dei cittadini, che si risolve poi in disillusione, al venire meno dell’intermediazione tradizionale dei partiti e dei sindacati.

 

Nei sistemi democratici è cresciuta l’importanza dei problemi identitari in parte collegati alle tendenze demografiche, come nel caso degli Stati Uniti, dove troviamo la crisi della minoranza bianca, sia la crisi negli assetti internazionali, dove diventa sempre più evidente il declino dell’egemonia della potenza democratica dominante.

 

L’Europa, solido esempio di sistema democratico, ha a che fare con una serie di nuove fragilità.

 

Due guerre ai confini, quella in Ucraina e quella in Medioriente hanno conseguentemente posto come prioritario la questione strategica della sicurezza e rendono l’UE al tempo stesso vulnerabile e marginale quanto a capacità di essere influente.

 

A questo va ad aggiungersi l’importanza della crisi demografica, che rende la questione del capitale umano un fattore decisivo per la competitività dell’Unione, e la perdita di competitività economica, che è in gran parte collegata ai difetti di governance nazionali che non funzionano più.

 

L’attuale crisi economica mina le basi dei tradizionali assetti sociali e istituzionali su cui poggiava il modello della moderna democrazia occidentale.

 

Nell’era dell’egemonia finanziaria le strategie di potere mirano solo alla propria autoconservazione portando all’eccesso l’indebitamento.

 

Le vittorie elettorali, frutto di forti promesse, trasmettono il messaggio che solo attribuendo al governo un potere totale ed esclusivo su tutta la società, a partire dal Parlamento per arrivare alla Magistratura e ai Media, fino al progressivo controllo dell’economia possa essere l’unica soluzione.

 

Un cambiamento di cui l’Ungheria è l’emblema, ma che ha per lungo tempo caratterizzato la Polonia e trova un numero sempre più ampio di sostenitori in altri paesi, non esclusa l’Italia.

 

Questa trasformazione è  diventata dottrina e programma dominante a partire dagli Stati Uniti, paese in cui gli equilibri del potere (i così detti pesi e contrappesi) sono sempre stati il punto di riferimento non solo dell’America, ma dei sistemi democratici di tutto il mondo.

 

 

La discussione sugli orizzonti critici delle democrazie ha incrociato l’analisi delle trasformazioni tecnologiche, sociali, economiche e politiche che riguardano il mondo dei media e dell’informazione, anche alla luce degli impatti dell’intelligenza artificiale.

 

Queste evoluzioni stanno trasformando sia l’industria dei media e del giornalismo più tradizionali sia le prassi democratiche e l’esercizio più ampio della partecipazione politica.

 

Si è di fatto entrati in una “era mediatica inflattiva”.

 

Sempre di più le big tech si concretizzano come soggetti politici di fatto, se non per legge, di fatto.

 

Le piattaforme divengono attori chiave nelle strategie e nelle pratiche di cybersicurezza nazionale e di difesa cibernetica.

 

Per non parlare di un radicale cambio antropologico che si è innescato soprattutto nelle nuove generazioni, oggi forti consumatrici di applicazioni digitali e reti sociali con stili di fruizione e di partecipazione nuovi rispetto al passato.

 

Le nuove tecnologie possono aver creato nuove opportunità e maggior democrazia all’interno del mondo dell’informazione, con la generazione e la circolazione di contenuti a una velocità e su una scala globale mai sperimentate prima.

 

Eppure, non sempre l’efficienza aiuta il cittadino: la tecnologia ha moltiplicato in parallelo i rischi di manipolazione, omologazione, falsificazione, discriminazione, competizione non alla pari.

 

Al centro di questa crisi si trova l’Italia.

 

Giorgia Meloni, con i suoi stretti legami ideologici con Trump, è diventata una figura centrale in questa dinamica

 

Polarizzazione, tribalizzazione, manipolazione, disinformazione, monopolizzazione sono azioni che si allineano con un’agenda promossa da Donald Trump, il cui ritorno sulla scena politica globale preannuncia conflitti commerciali, retoriche destabilizzanti e sforzi per dividere l’Europa.

 

Questo movimento combina la disinformazione e l’ideologia populista per indebolire le istituzioni democratiche.

 

Non riuscire a inquadrare questa lotta come una battaglia esistenziale contro un’agenda reazionaria, libertaria e tecno-populista rischia di lasciare l’Italia e l’Europa alla mercé di una nuova ondata di autoritarismo, alimentata dal potere incontrollato dei magnati della tecnologia.

 

Oggi con i nostri ospiti,

Lisa SINOWATZ      del Sindacato ÖGB

Fulvio FAMMONI     Coordinatore Alta Scuola Spi-Cgil

Carlo GHEZZI           Vicepresidente nazionale ANPI

Tania SCACCHETTI   Segretaria Generale Naz. Spi

 

Moderatrice dei nostri lavori Lissi MAIR giornalista

 

 

abbiamo avviato una riflessione per contribuire a comprendere con maggiore precisione dove si sono inceppati i processi di “formazione di volontà collettiva”, e quali sono le innovazioni specifiche che vanno sperimentate affinché la democrazia sopravviva alla sua crisi.

 

La Democrazia diretta, i Referendum, la Piazza sociale sono i banchi di prova della capacità e del valore di dare risposte alle persone, alle loro idee, sui sogni e bisogni diffusi, sui progetti possibili e la trasformazione in volontà politica.

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